13 agosto 1944: eccidio nazifascista a Borgo Ticino

Di Roberto Cenati, Presidente ANPI Milano

Borgo Ticino

Il 13 agosto del 1944 verso le ore 14 giunsero a Borgo Ticino reparti delle SS e della X Mas, tutti provenienti dalla vicina Sesto Calende. Gli uomini, scesi da camionette e autoblindo, una volta circondato il Paese, ne bloccarono le principali vie di accesso e di uscita. Sotto la minaccia delle armi e attraverso ogni sorta di violenza fisica e psicologica, condussero tutti gli abitanti di Borgo Ticino sulla piazza centrale. Ultimato questo rastrellamento di massa, l’intera popolazione, tenuta a bada dalle armi dei nazisti e dei fascisti, venne arringata da un interprete che comunicò ai presenti l’ordine impartito dal capitano Krumhaar di effettuare una rappresaglia, poichè nelle vicinanze del paese erano stati feriti con colpi d’arma da fuoco alcuni militari tedeschi. Tuttavia, perché l’esecuzione di quest’ordine fosse scongiurata, il capitano Krumhaar e i suoi uomini ingiunsero alla popolazione una taglia di 300.000 lire a titolo di risarcimento. In attesa della somma, le SS scelsero tra la folla 13 giovani, che furono schierati, a turno, davanti al muro che dava sulla piazza. Una donna ebrea, Clara Mosseri, scampata alla strage di Meina, il primo sterminio nazifascista di ebrei in territorio italiano, avvenuta tra il 22 e il 23 settembre 1943 offrì i suoi gioielli e il suo danaro, mettendosi a disposizione delle altre donne per la raccolta della somma richiesta. Ma dopo che la taglia venne incassata, si diede corso ugualmente allo schieramento del plotone di esecuzione e il capitano Krumhaar, a fronte delle invocazioni di pietà che i familiari e numerose persone gli muovevano, ebbe modo di rispondere “i quattrini non bastano per il sangue tedesco”. Dopo una drammatica attesa che tenne la popolazione in stato di disperata angoscia, i 13 uomini prescelti furono tutti fucilati e colpiti, in molti casi, con uno o più proiettili di pistola sparati alla nuca. Scampò all’eccidio solo un giovane, Mario Piola, svenuto e rimasto immobile tra i cadaveri. La piccola Piera Bucelloni, bambina di 11 anni costretta, fra gli altri, ad assistere alla fucilazione, morì di crepacuore pochi giorni dopo l’eccidio. Dopo che l’eccidio era stato consumato, prima di appiccare il fuoco alle case (ben 75 andarono distrutte), gli uomini del capitano Krumhaar iniziarono, in concorso con gli uomini della X Mas (al comando del capitano Ungarelli), a commettere rapine e a sottrarre alla popolazione ogni bene da essa posseduto. Verso l’imbrunire i familiari delle vittime tentarono di recuperare le salme dei propri cari per poter dare loro onorata sepoltura, ma ciò non fu possibile, dato che l’ordine impartito era stato quello di lasciare i cadaveri sul selciato come monito per la popolazione, fino al giorno dopo. La versione dei fatti emerge da una serie di atti attinti dal processo celebrato a carico di Junio Valerio Borghese. Il capitano Krumhaar e il tenente Faikel, unitamente ai 24 componenti il plotone di esecuzione, non solo ingannarono la popolazione suggerendo una possibile salvezza a seguito del pagamento di una taglia di 300.000 lire, ma si distinsero anche per una serie di condotte afflittive verso la popolazione civile e verso le stesse vittime, dilatando i tempi dell’esecuzione e costringendo ad assistere alla stessa tutti i civili raccolti nella piazza del paese. Le modalità dell’eccidio, la dilatazione temporale volta ad implementare lo sgomento, il terrore sulla popolazione civile e le barbare uccisioni dei civili si inseriscono in un piano ben preciso di “guerra ai civili” che caratterizzò le repressioni nel biennio 1943-1945 su impulso dei Comandi divisionali dell’esercito di occupazione tedesco.