23 maggio: ventinovesimo anniversario della strage di Capaci

di Roberto Cenati – Presidente Anpi provinciale di Milano

l 23 maggio 1992 Giovanni Falcone e la moglie Francesca, di ritorno da Roma, atterrano a Palermo con un aereo partito dall’aeroporto romano di Ciampino alle ore 16,40. Tre auto, una Croma marrone, una bianca e una azzurra li aspettano. È la scorta di Giovanni, la squadra affiatatissima che ha il compito di sorvegliarlo dopo il fallito attentato del 1989 dell’Addaura. Ma poco dopo aver imboccato l’autostrada che congiunge l’aeroporto alla città, all’altezza dello svincolo di Capaci, una terrificante esplosione (500 kg di tritolo) disintegra il corteo di auto e uccide Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Un attentato ordinato da Cosa Nostra, il cui obiettivo era un simbolo: Giovanni Falcone, che operava dal 1980, insieme a Paolo Borsellino (ucciso con i 5 uomini della sua scorta il 19 luglio 1992 nella strage di via D’Amelio), nel pool antimafia ideato e diretto da Rocco Chinnici (assassinato dalla mafia il 29 luglio 1983 a Palermo). Giovanni Falcone così scriveva a proposito della mafia: ““Credo che Cosa nostra sia coinvolta in tutti gli avvenimenti importanti della vita siciliana, a cominciare dallo sbarco alleato in Sicilia e dalla nomina di sindaci mafiosi dopo la Liberazione. Non pretendo di avventurarmi in analisi politiche, ma non mi si vorrà far credere che alcuni gruppi politici non siano alleati a Cosa nostra, nel tentativo di condizionare la nostra democrazia” E aggiungeva: “Io credo che occorra rendersi conto che questa lotta non è una lotta personale tra noi e la mafia. Se si capisse che questo deve essere un impegno di tutti nei confronti di un fenomeno che è indegno di un Paese civile, certamente le cose andrebbero molto meglio.”