23 novembre 1944: rastrellamento nazifascista nell’Oltrepò Pavese

di Roberto Cenati, Presidente ANPI provinciale di Milano

Una divisione tedesca e una del Turkestan – scrive Tino Casali in una testimonianza rilasciata nel febbraio 1965 – completate da reparti fascisti, bersaglieri della Littorio e alpini della Monterosa, attaccarono da più parti il 23 novembre 1944 le nostre formazioni. Per settimane gli scontri si susseguirono agli scontri. Dopo circa un mese di battaglie i partigiani, ridotti a combattere nell’alta Valle Staffora, in Val Curone e in Val Barbera, sono in condizioni disperate. Si debbono alleggerire i distaccamenti, per lasciare le poche munizioni e i viveri ai più dotati e coraggiosi. Le formazioni rimangono comunque in piedi; resistono nella parte più alta dei boschi. Il nemico è certo della vittoria totale e del nostro annientamento. Invece, lo si gioca ancora una volta; si riesce con lunghe e faticose marce a passare tra le sue file per ritrovarsi nelle valli più basse, che i tedeschi credevano di avere disinfestato per sempre. Chi aveva voluto continuare la battaglia dovette affrontare un periodo tremendo. I posti di ritrovo erano i cimiteri e i boschi. I partigiani scomparvero nelle buche predisposte durante l’estate e per oltre un mese vissero sotto i piedi dei tedeschi. Con la fine di gennaio del 1945 i piccoli gruppi partigiani ricominciarono la loro azione armata, i loro attacchi al nemico. Nel febbraio ha luogo la ripresa: le formazioni si ricostituiscono, si dà vita al comando unico nella zona dell’Oltrepò. Non più garibaldini, giellisti, matteottiani, ma tutti questi uniti sono i Combattenti della Libertà. Nel marzo un rastrellamento di duemila uomini viene affrontato con le nuove formazioni e gli organici in piena efficienza e viene stroncato nel giro di due giorni.