Come fu organizzata l’insurrezione a Milano

di Flavio di ANPI Rozzano

Comprendere e soprattutto spiegare un evento storico re- cente e connesso ad un particolare territorio è assai difficile, ma doveroso se, come nel mio caso, ci si accinge a divulgarne il sen- so profondo, dal modo in cui si pensò di agire a chi agì. Mi av- valgo, pertanto, del saggio Quando cessarono gli Spari, 23 aprile-6 maggio 1945. La liberazione di Milano scritto dal famo- so partigiano Giovanni Pesce, del quale vi propongo una perso- nale rielaborazione.

La guerra d’insurrezione in qualsiasi città richiedeva da parte del Comando delle forze partigiane la conoscenza perfetta del- la topografia urbana, l’adeguata valutazione di strade, piazze,

ferrovie, trasporti fluviali e aerei; tutto ciò si doveva amalgama- re con un’accurata disposizione dei mezzi di comunicazione tra i rioni, tramite staffette, via radio o telefonicamente.

A Milano, il Comando del Partito Comunista, che coordinava le Brigate Garibaldi (la maggior parte delle bande partigiane in città), conosceva perfettamente la topografia e la composi- zione sociale della popolazione: nel cuore della città si trovavano i borghesi e i centri del potere politico, economico e militare, mentre, nei rioni periferici, fabbriche e operai.

All’opera del PC d’I si deve il grande lavoro propagandistico nelle fabbriche durante i mesi dell’occupazione nazista: ciò ave- va trasformato la periferia in una zona rossa che correva attor- no alla città occupata, racchiudendo in modo naturale i nazisti.

La strategia promossa dallo stesso comando comunista allo Stato Maggiore fu dunque quella di far convergere verso il cen- tro i garibaldini della periferia che poi sarebbero stati supporta- ti dalle divisioni di montagna e dell’Oltrepò; tuttavia tale strate- gia doveva prendere in considerazione tutto il piano insurrezio- nale dell’Alta Italia, focalizzandosi su due aspetti generali: il pri- mo fu quello di iniziare l’insurrezione in provincia poco prima che in città per permettere l’eliminazione di tutti i gruppi nazifascisti e l’occupazione dei punti nevralgici, tutto per favorire lo scorri- mento dei partigiani verso Milano. Il secondo punto riguardava la città e coincideva con la proposta del comando comunista: dalla periferia si sarebbero occupate le caserme, le sedi fasciste, i centri nevralgici fino al centro dove stavano la prefettura, le amministrazioni, le sedi telefoniche e telegrafiche.

Il piano fu studiato nei minimi dettagli dal comando garibaldi- no e dal Comitato di Liberazione: essi previdero che, durante l’insurrezione, si sarebbe verificato un afflusso di forze nuove alle unità partigiane, in particolar modo degli operai delle fabbriche.

I partigiani affluiti per la Liberazione avrebbero però scatena- to due gravi problemi: la conoscenza della modalità di lotta in città e quello dell’uso delle armi sequestrate di volta in volta. Ognuno dei nuovi combattenti, esperto garibaldino o nuovo mi- lite che fosse, doveva sapere che era pericoloso muoversi in un territorio non familiare e che dunque bisognava prestare la mas- sima attenzione.

Se era possibile supplire alla mancanza di una preparazione con il coraggio e l’entusiasmo, non lo era relativamente alla mancanza di materiale.

Le armi, infatti, si conquistavano in combattimento, ma l’afflusso dei nuovi partigiani avrebbe pregiudicato una distribu- zione equa del materiale; a fronte di tale carenza il comando non poté che emanare delle regole ferree per la buona riuscita dell’insurrezione.

Valgano ad esempio il divieto di sparare a un bersaglio a più

di duecento metri, poiché, se lo si manca, ci si scopre al nemico, oppure la raccomandazione di mandare a segno il primo colpo perché, per il secondo, non ci sarebbe stato più tempo.

Inoltre, si cercò di far comprendere che ciò che terrorizzava il nemico non era la raffica, ma il tiro esatto, metodico, che lo co- stringeva alla ritirata. Ovviamente questi erano solamente ordi- ni teorici, in realtà l’operaio, lo studente o la ragazza che punta- va per la prima volta una pistola non sarebbe riuscita ad atte- nersi in modo ferreo a queste regole.

I giorni precedenti all’insurrezione erano carichi di tensioni non solo per i combattenti, ma anche per gli stessi nazifascisti per i quali non fu più possibile identificare il proprio avversario solo nel patriota inquadrato nella Resistenza; qualunque cittadino era diventato un potenziale nemico. Le notti che precedettero i giorni dell’insurrezione risuonarono già di spari, di esplosioni, colpi di rivoltella. Era il chiaro segnale che i nervi del nemico stavano andando in frantumi. I fascisti sparavano contro il buio nelle notti di coprifuoco; ubriachi di paura, volevano dimostrare a se stessi di essere ancora vivi.