L’ assassinio di Massimo D’ Antona

di Roberto Cenati, presidente ANPI di Milano

Verso le 8.30 del 20 maggio 1999, Massimo D’Antona, consulente del Ministro del Lavoro e docente di Diritto del Lavoro all’Università “La Sapienza” di Roma, stava recandosi da casa nel suo studio in via Salaria quando due individui – un uomo e una donna – scesi da un furgone parcheggiato nei pressi della sua abitazione, lo avvicinarono e lo colpirono con numerosi colpi di pistola, uccidendolo. Poche ore dopo, l’omicidio fu rivendicato dalle Nuove Brigate Rosse. L’assassinio avvenne proprio nell’anniversario della nascita della Legge 20 maggio 1970, nota come Statuto dei Lavoratori. Una delle più ricorrenti citazioni di Massimo D’Antona : “ci sono dei diritti che attengono al lavoratore, non come parte di un contratto, ma in quanto persona”, rivela la sua costante attenzione al valore della persona del lavoratore. Il sottotitolo di una raccolta di suoi scritti pubblicata dopo la sua scomparsa, “In difesa della Costituzione”, indica, come tutto il contributo teorico di D’Antona allo studio del diritto del lavoro, abbia sempre avuto, come punto di partenza e di approdo, la Costituzione. La sua norma di apertura, che proprio sul lavoro pone le basi per il pieno sviluppo della persona umana e per il progresso sociale ed economico del Paese, era indicata da D’Antona come naturale contrappeso ad un uso incontrollato della flessibilità, qualora questa si riveli non una risorsa per la creazione di opportunità di impiego, ma solamente una serie infinita di tipologie contrattuali, destinate a generare precarietà.